Prima Visione Dessé
per motivi tecnici momentaneamente chiuso
con: Ben Kingsley - Leonardo DiCaprio - Mark Ruffalo - Max von Sydow - Michelle Williams
2010, 138′
DRAMMATICO, THRILLER
Trama - Stati Uniti, 1954. Il capo della polizia Teddy Daniels e il suo nuovo compagno di squadra Chuck Aule vengono convocati sull’ isola-fortezza Shutter Island, sede del manicomio criminale Ashecliffe, per indagare sulla misteriosa scomparsa di una detenuta pluriomicida fuggita da una cella blindata. I due poliziotti, circondati da psichiatri inquisitori e da pazienti psicopatici e pericolosi, si troveranno immersi in un’atmosfera imprevedibile dove nulla è in realtà come appare, costretti nel frattempo a dover fare anche i conti con alcune delle loro più profonde e devastanti paure…
.
Critica – “Scorsese virtuoso dei simboli del thriller espressionista (l’isola dell’io, la scogliera infranta dal mare, il faro della verità nel finale, i sogni rivelatori – di magistrale invenzione) costringe lo spettatore a tenere insieme troppe cose. Anche Di Caprio, ha qualche cedimento. In ‘Shining’ Kubrick riuscì a fondere i due rami, cinema e vita. Qui si fa la gimcana. Resta per la forza di un viaggio nella malattia mentale come prigione dell’uomo. O nell’uomo come prigione.” (Silvio Danese, ‘Nazione, Carlino, Giorno’, 14 febbraio 2010) . “Leonardo Di Caprio si conferma un ottimo attore a cui questo straordinario regista affida, a volte, troppa responsabilità. E’ pur vero che il biondo sex-symbol sa dare il meglio proprio nei ruoli schizofrenici, quelli che lo costringono ad arrivare al limite della follia e a sdoppiarsi (mai come questa volta). Anche se deve farlo in modo che gli calza peggio dei completi che la costumista gli sottopone (ed è davvero difficile, fidatevi). L’indagine inizia come normale attività di polizia in un manicomio criminale per poi rivelarsi una discesa agli inferi lenta (troppo) e inesorabile, un complotto di cui la vittima è certa, ma anche il colpevole si intuisce subito. La struttura è quella di un classico b-movie claustrofobico, fatto di matti riconoscibili, riconosciuti e camuffati. Come sempre in un manicomio. Un plot così ovvio che fino alla fine ci si augura un guizzo che, a dir tutta la verità, non è presente neanche nel romanzo che ha ispirato il film. E così un lungometraggio che normalmente, con queste premesse, dura massimo 90 minuti, si protrae fino a 138 (!) anche perchè Scorsese, non sicuro che lo spettatore possa capire, la svolta finale ce la ripropone tre volte. (…) E l’ultimo “Theddy!” nella scena finale sembra quasi un colpo di coda a voler scusarsi, troppo timido e sbrigativo per essere accettato. L’impressione è che persino zio Marty voglia tornare a incassare. E sapendo che il genere paga, ha giocato la sua carta. Male. A consolarci solo il suo talento, che si scatena nei flash-back a Dachau (….). L’esecuzione dei nazisti per reazione è un pezzo di cinema straordinario.” (Boris Sollazzo, ‘Liberazione’, 14 febbraio 2010)
.
“Con Shutter Island Martin Scorsese firma uno psyco-thriller ad alta tensione. E lo fa con la solita maestria, magari con qualche incongruenza narrativa, confezionando un film gotico, cupo, enigmatico, a tratti claustrofobico, ricco di suspense e di colpi di scena; una pellicola che sicuramente rispecchia bene l’idea di film che il regista si era fatto dopo aver letto l’omonimo romanzo di Dennis Lehane, già autore di ‘Mistic River’, portato sugli schermi da Clint Eastwood e premiato con un Oscar: un puzzle in cui i pezzi si incastrano non seguendo un ordine preciso e che resta incomprensibile fino a quando l’ultimo tassello non viene messo al suo posto. Scorsese voleva fare un film sulla follia, senza però limitarsi a questo. Infatti ‘Shutter Island'(…) è soprattutto un viaggio nelle paure interiori, le più nascoste e inconfessabili. Quelle che accompagnano, nell’autunno del 1954, l’agente federale Teddy Daniels (un credibile Leonardo Di Caprio) sull’inaccessibile e sorvegliatissima isola Shutter (…). Il suo incarico, e quello del collega Chuck Aule (il sempre più apprezzato Mark Ruffalo), è di trovare Rachel Solando, rinchiusa per aver ucciso i suoi tre figli, misteriosamente scomparsa. (…) Sospetti e misteri si moltiplicano, in un crescente vortice di tensione in cui si fanno strada ipotesi di sordidi complotti – siamo negli anni segnati dalla paranoia della guerra fredda e dal maccartismo – e di disumani esperimenti sui pazienti cui gli enigmatici medici (i bravi Ben Kingsley e Max von Sydow) sembrano avere parte. (…) Fedele al romanzo, la sceneggiatura di Laeta Kalogridis intreccia realtà e fantasia, verità e illusione (…). La creatività di Scorsese in ‘Shutter Island’ sembra segnare il passo, sottomessa alla rigidità del soggetto scelto. Tuttavia ogni cosa appare credibile nella narrazione di Scorsese, grazie anche alla realistica ricostruzione dell’atmosfera e della vita degli ospedali psichiatrici americani del tempo firmata da Dante Ferretti e soprattutto alla plumbea, penetrante fotografia di Robert Richardson. Tutto collima e il racconto sembra seguire una sua logica, per quanto complessa. Solo alla fine, guardando all’indietro, si possono notare, come già accennato, possibili incongruenze, situazioni non proprio lineari. Ma il risultato filmico è notevole, pur non essendo di fronte a un’opera memorabile. Del resto se è vero che in un thriller ciò che conta è restare incollati alla poltrona fino alla fine in attesa che il mistero venga svelato, ebbene Scorsese – che da cinefilo appassionato conosce alla perfezione i meccanismi della visione – riesce con bravura nell’intento, raccontando una storia in cui la realtà cambia in continuazione e i piani si confondo. Un film sulla follia e sulla paura, dunque, ma anche sulle radici della violenza, che percorre questa pellicola trasversalmente. (…) Fortunatamente alla maggior parte della gente ciò è risparmiato, ma Scorsese sembra dirci che tutti in qualche misura nascondiamo nel profondo una Shutter Island che contiene i semi di violenza, nonché le paure, i segreti inconfessabili, le cose che si vorrebbero cancellare dalla memoria. Ma invita altresì a prendere coscienza che solo accettando la nostra natura umana, con le sue debolezze ma anche con le sue infinite risorse, è possibile costruire un futuro di speranza. «Siamo noi a decidere come vivere – ha detto di recente – e la via del riscatto è la consapevolezza».” (Gaetano Vallini, ‘L’Osservatore Romano’, 15-16 febbraio 2010)
.
“Tra le conseguenze che i nuovi finanziatori di Hollywood (come i potenti e ricchi fondi pensione) hanno imposto al mondo del cinema c’è anche il ritorno a una più facile riconoscibilità di genere: meno svolazzi autoriali e più strutture narrative tradizionali riducono i rischi al botteghino e offrono immediata leggibilità. Chi ne soffre? I registi più curiosi e innovativi che non trovano più la libertà del passato. Come per esempio Scorsese, costretto a «inscatolare» il proprio talento in film meno coraggiosi, quale è appunto ‘Shutter Island’, un thriller psicologico di ineccepibile fattura, teso e inquietante per almeno due terzi, interpretato da un sempre ottimo Di Caprio, ma lontano dal coraggio di sperimentare e di rischiare che contraddistingueva il regista almeno fino a ‘Al di là della vita’. E proprio quel film torna in mente vedendo l’inchiesta che lo sceriffo Teddy Daniels compie nel manicomio criminale di ‘Shutter Island’. (…) E invece da un grande regista come Scorsese sembra inevitabile aspettarsi sempre il capolavoro o quasi. Dai primi della classe non possiamo accontentarci di un compito svolto senza errori. Vogliamo di più.” (Paolo Meregehtti, ‘Corriere della sera’, 14 febbraio 2010)
Note - LAETA KALOGRIDIS FIGURA ANCHE TRA I PRODUTTORI ESECUTIVI. - PRESENTATO IN CONCORSO AL 60. FESTIVAL DI BERLINO (2010).
.
VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI
giovedì 18 marzo | Possibile Riapertura |