Prima Visione Dessé
Il profeta
con: Adel Bencherif - Alaa Oumouzoune - Niels Arestrup - Tahar Rahim
2009, 149′
DRAMMATICO
Trama - Il 19enne Malik El Djebena viene condannato a sei anni di prigione. Giovane e fragile, ma estremamente intelligente nonostante sia analfabeta, Malik inizia a svolgere ‘missioni’ per un gruppo di detenuti corsi che ha imposto la propria legge all’interno dell’istituto penale. Con il passare del tempo, il ragazzo si guadagna la loro completa fiducia riuscendo ben presto a sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
Critica – “Sintesi di realismo e apologo brechtiano (l’Opera da tre soldi) il film di Audiard è il migliore visto finora.” (Roberto Nepoti, ‘la Repubblica’ 18 maggio 2009)
“‘Un profeta’ è potentissimo ed è interpretato da due attori, Tahar Rahim e Miels Arestrup, straordinari. E’ forse troppo ‘macho’ per la giuria di Cannes, ma è un buon film che non ha bisogno di Palme: il pubblico, voi compresi, lo adorerà.” (Alberto Crespi, ‘L’Unità’, 17 maggio 2009)
“Audiard piace perché non c’è nulla di etico e moralista nel suo cinema, si limita a raccontare una storia con una completezza visiva e narrativa che rende la lunga durata assolutamente necessaria, evita gli stereotipi e gli archetipi. E, pregio grande nel nostro cinema assopito, se ne frega del politicamente corretto. (…) Noir, gangster movie, film carcerario, opera intimista e sociale, è un puzzle che si compone con lenta e puntuale precisione. Tra Scorsese e Gabin, il regista francese, che già molti vedono lanciato verso un premio importante, ci regala un film di altissimo livello e che col tempo lieviterà nella coscienza di spettatori e critici.” (Boris Sollazzo, ‘Liberazione’, 17 maggio 2009)
“Audiard combina il noir di Melville e la digressione di Tavernier, ma con un passo personale del racconto che approfondisce e insieme cammina svelto. Al franco-algerino Tahar e al maturo Niels Arestrup, Audiard deve la continua credibilità dei personaggi.” (Silvio Danese, ‘Quotidiano Nazionale’, 17 maggio 2009)
“Inizia così una specie di iniziazione alla malavita che Audiard racconta con una macchina da presa molto mobile, che incombe su Malik un pò come sembra incombergli addosso un destino che lo vorrebbe ridurre a ingranaggio di un gioco più grande di lui e che lui cerca di orientare a proprio favore. Man mano che il film procede prendono forma altre dinamiche importanti della vita in carcere, dalla possibilità di svolgere anche lì attività illegali all’ intreccio tra orgoglio razziale, appartenenza ideologica e lotta per la supremazia. Ma su tutto al regista interessa raccontare l’ evoluzione molto darwiniana del suo protagonista, che giorno dopo giorno imparerà a stare sempre meglio a galla. Senza vere radici né di clan né di razza, nonostante le sue evidenti origini arabe, il protagonista cerca di barcamenarsi tra tutti, subendone gli scoppi di violenza e ogni volta facendo un passo avanti nella comprensione dei rapporti di potere e delle molle che li guidano. Pronto a fare il «figlio» per un padre/boss che forse ne sottovaluta l’ intelligenza e capace di trasformarsi lui stesso in «padrone» quando il risultato può fargli comodo. Oltre che a elaborare nel proprio inconscio gli incubi e i sensi di colpa così da poterci tranquillamente convivere, come mostrano alcune scene «fantastiche». E alla fine, anche grazie a un gruppo di attori straordinari dove svettano Niels Arestrup (è Luciani) e il meno conosciuto ma non meno efficace di Tahar Rahim (Malik), Audiard ci racconta non solo la nascita di un nuovo Mackie Messer (come sottolinea esplicitamente la musica finale) ma soprattutto l’ universo senza speranza che si annida dentro il mondo delle carceri, dove si impara solo a essere più violenti e più avidi di quanto non si fosse prima di entrare.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 17 maggio 2009)
“‘Un profeta’, due ore e mezzo, diretto con accurato dinamismo e certosina catalogazione di ogni figura retorica del filone carcerario (rivolta esclusa) non ha tempi morti e vende di tutto, dagli stupri sotto la doccia ai superiori corrotti, dalle prigioni vivibili (con tanto di «angolo moschea», mica siamo in Brasile) alle gerarchie interne che non ammettono sgarri, dagli sgozzamenti insostenibili ai languidi canti patriottici (in inusuale lingua cugina, il corso), tediandoci troppo con un realismo di maniera dal ritmo drogato, per ottenere prestazioni spettacolari. Mentre il genere carcerario (uno dei più faticosi, con quozienti altissimi di difficoltà), se non vuol essere consolatorio o filo-istituzionale, come dimostrano Bresson e Aldrich, Siegel e Ferrario, di una cosa non può fare a meno, dell’horror vacui. Del combattimento contro i tempi morti. Dunque contro l’istituzione concentrazionaria, non contro chi, il clan di Bastia, in catene, per colmo della beffa, dovrebbe rappresentarla.” (Roberto Silvestri, ‘Il Manifesto’, 17 maggio 2009)
Note - GRAND PRIX AL 62. FESTIVAL DI CANNES (2009).
- CANDIDATO AL GOLDEN GLOBE 2010 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
- CANDIDATO ALL'OSCAR 2010 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
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